Alcune notizie, quelle peggiori, arrivano con una telefonata. Ricordo ancora quando molti anni fa all’alba di un giorno qualunque suonò il telefono, quello fisso a casa dei miei, e sentii dal mio letto al piano di sopra qualcuno rispondere. Seguirono bisbigli e quella concitazione cupa che portano solo le brutte notizie, che tu hai capito che è una brutta notizia e non sai neanche perché. Una persona cara sta male. Una persona cara non c’è più.
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Clik here to view.Ci sono notizie che invece arrivano coi giornali, o con i Social da un po’ di tempo. A queste notizie alcune volte rimaniamo attoniti, la maggior parte delle volte quasi indifferenti. Ammettiamolo, al di là dei R.I.P. ormai di rito e della condivisioni d’ordinanza, quando viene a mancare una persona che non è nella nostra cerchia di amici e parenti, difficilmente veniamo intimamente turbati. O quanto meno è quel tipo di turbamento che siamo in grado di gestire, purtroppo o per fortuna. Come per le stragi che si consumano in luoghi sempre più lontani da noi oppure gli incidenti aerei, quando “non si ha notizia di italiani a bordo”. Come se il fatto che a morire sia un italiano dovrebbe fare qualche differenza. Questa cosa non l’ho mai capita e mai la capirò.
Le notizie che arrivano come sberle
Non è sempre così, però, ci sono notizie di questo tipo che arrivano come sberle. Notizie che ti ribaltano. E a volte ci metti un po’ a capire perché. Notizie che quando le hai elaborate hai imparato qualcosa di più sulla vita o solo su di te, che forse è la stessa cosa. Quando si suicida una persona famosa, ad esempio, o quando sei salvo solo perché sei nel posto giusto al momento giusto. Mi è capitato poche volte. Quando ho saputo dell’attentato della metropolitana a Bruxelles ed era la linea che prende ogni mattina la mia migliore amica. Quando si è suicidato Philip Seymour Hoffman, oppure Robin Williams. Quel dolore così grande che devasta una vita apparentemente solo da invidiare, ecco… quel dolore mi spacca il cuore.
Qualche mese fa è arrivata una notizia di questo tipo. Anzi, ne sono arrivate due, una dopo l’altra. Ci ho messo un po’ a parlarne, dovevo capire cosa era capitato dentro di me, perché mi aveva fatto così male.
Il sorriso di Carlotta
Uno schiaffo contenuto in un post. Di quelli che rileggi mentre pensi “Devo avere letto male, no non è possibile…” e lo dici a te stessa, mentre sai benissimo che sì, potrebbe essere vero. C’è una parte di te che no, non può accettarlo. Anche se non ti puoi definire amica intima di Carlotta, anche se non fai parte di quelle persone che hanno ricevuto una telefonata o un messaggio privato. Tu l’hai scoperto così: Carlotta non c’è più e immediatamente hai sentito un corto circuito e il bisogno di mandare un messaggio a qualcuno che la conosceva come te. Come a chiedere una conferma, come a cercare un plausibile perché.
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Ci ho messo un po’ ad elaborare quell’onta di rabbia che mi è salita dentro mentre leggevo e rileggevo e capivo che sì, era vero. Carlotta era malata da un po’. Non posso definire Carlotta un’amica, ma era certamente una buona conoscente ed era soprattutto una di quelle persone che non hanno paura di parlare, di mettersi a nudo, di fare anche discorsi scomodi riguardo la propria malattia. Quindi era bastato chiacchierare con lei in un paio di occasioni per sapere le sue lotte profonde, conoscere la sua forza speciale, godere di quel sorriso potente e quella leggerezza incredibile nell’affrontare il macigno che le era toccato.
Per chiunque si interessi di triathlon lei e Giulio (Molinari) erano una certezza, una coppia meravigliosa e inossidabile. Giulio non c’era se non c’era lei. E ogni volta, lei, come lui, regalava un sorriso, due chiacchiere un saluto. Insomma quelle coppie che sono una cosa sola davvero, e non perché uno dei due sia accessorio all’altro, ma perché possono essere solo insieme ciò che sono.
Nell’ultimo anno lo capivi che non era proprio in forma, ma lei non lo dava mai a vedere. Lo potevi leggere da una leggera sfumatura nell’incarnato o dagli occhi più cerchiati dell’ultima volta, alla gara precedente. Ma era una di quelle persone che sembrava aver fatto il salto, essere ormai una super donna, dotata di qualità speciali, perché si sa che se una persona affronta così una malattia terminale, di certo ha dei super poteri!
Non capivo cos’era che mi faceva impazzire di questa notizia, al di là della perdita di una una giovane donna che conoscevo e che sapevo avere un marito che l’amava alla follia, insieme ad una splendida tribù a 4 zampe. Come se questo non fosse sufficiente per essere arrabbiati e tristi. Ma sentivo che c’era di più. Perché ci sono persone che con la loro vita, e a volte con la loro morte, entrano dentro di noi. E io sentivo che questa perdita c’entrava anche con me.
E poi l’incidente ad Alex Zanardi
Poi qualche settimana dopo c’è stato l’incidente in hand bike di Zanardi. Anche lui uno di quei personaggi dotati di super poteri, riuscito a risorgere da un incidente che lo aveva letteralmente dimezzato. Una storia che conosciamo tutti molto bene. La conosciamo perché ormai lui era diventato un simbolo. Un simbolo di riscossa, di positività, di resilienza (come va di moda da un po’). Zanardi personalmente non mi stava simpatico, so di essere impopolare, ma trovavo in lui un certo snobismo che mi infastidiva. Ho sempre trovato incredibile però la sua capacità di trasformare la sfortuna più grande in un’opportunità storica per lui e per tutti noi. Trovavo incredibile che fosse riuscito a non perdersi (e forse proprio per questo gli ho sempre perdonato lo snobismo) ma che al contrario abbia traghettato ciò che era nella sua nuova vita da invalido. Agonismo puro, egocentrismo da podio, passione smodata.
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Trovo incredibile il modo in cui gli sia capitato ciò che gli è capitato. Faceva ciò che amava, lo faceva rischiando, cioè nell’unico modo possibile. Perché raggiungere i propri sogni senza rischiare è difficile, raggiungerli senza rischiare se sei disabile, o malato, è semplicemente impossibile. Anche io nel mio piccolo, ogni volta che parto in bici penso che se dovessi cadere o avere un incidente probabilmente finirei se va bene paralizzata altrimenti peggio. Ma c’è sempre un prezzo da pagare e il nostro è un po’ più alto. È per questo che Gabriele dice sempre che gli atleti fragili (malati o disabili) sono molto simili agli atleti professionisti, perché devono stare sempre sul confine sottile tra rischiare tutto ma non rischiare troppo. Sempre.
Quando la storia non è a lieto fine
Può capitare che la storia non sia a lieto fine. Può capitare che tutta la tua forza non sia abbastanza contro il tumore, può capitare che ti sei salvato una volta, ma la seconda no. E ho capito perché capita, ed è la cosa che mi faceva impazzire rispetto a queste due storie. Che mi teneva a pensare angosciata e non capivo perché.
Capita perché Carlotta ed Alex non sono dei super eroi in realtà, non hanno superato la soglia dell’invincibilità. Nessuno può su questa terra.
E fa male per due ragioni: perché Carlotta non c’è più e perché l’amore più grande e tutta la forza del mondo non bastano a nessuno per essere immortali. Ma tu devi crederci lo stesso, e devi tenere duro e fare il massimo anche se non sarà per sempre e non sai davvero cosa accadrà domani. L’amore e tutta la forza del mondo non bastano ad essere immortali. Ma sono il meglio di ciò che abbiamo.
I supereroi non esistono. Gli eroi però si.
Quelli che non mollano e ci provano fino all’ultimo giorno, che amano, stringono i denti, non si arrendono, anche se potrebbe essere inutile. Perché se non credi all’impossibile, l’impossibile non può accadere. Gli eroi compiono azioni straordinarie, entrano nei cuori, passano alla storia. Gli eroi sono quelli che muoiono, a volte, ma sono anche quelli che nessuno dimentica.
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Forza Alex, continuiamo a credere nell’impossibile. Grazie Carlotta, in tanti non ti dimenticheremo.
(per ricordare Carlotta è stata fondata un’associazione, potete trovare le info qui)
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