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W49 e W50 (2018): lo Smart working è una buona notizia?

Oggi vi parlo di lavoro, o meglio vi parlo di Smart working, di un’azienda coraggiosa e di un account manager mamma aspirante atleta (io) che è felice, però… Fra l’altro ormai avrete capito che le settimane qui sul blog vanno in coppia, come le amiche in bagno. Vedete ad avere idee estemporanee senza un piano editoriale che succede? Lo metto tra i buoni propositi del 2019, promesso. Ma torniamo a noi. Parlavamo di smart working e flessibilità.

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smart working giovanna 46percento

La notizia clou di queste due settimane (ammetto che ce ne sarebbero almeno altre tre ma abbiate pietà che mi ci vorrebbero giornate da 48 ore per scrivere tutto) è che la mia azienda, Webranking , sempre lei, ha annunciato due importanti novità (anche qui di novità ne ha annunciate diverse, ma una è top secret e le altre ne parliamo un’altra volta)… la notizia clou dicevamo: si parte con flessibilità e smart working!

Che cosa significa smart working e cosa si intende per flessibilità?!?

Ma soprattutto è davvero una buona notizia? Certamente è una notizia bomba. Da un orario standard di 8 ore, senza controlli maniacali ma senza nessun tipo di flessibilità, si passa per tutti ad un’ora di flessibilità in entrata e in uscita con pausa anch’essa flessibile, in più per chi ne fa richiesta ci sarà la possibilità di lavorare in smart working diverse giornate al mese. In pratica puoi entrare dalla 8 alle 10 e fare una pausa più lunga, così facendo le ore obbligatorie di disponibilità ai meeting da 8 diventano 5, per non parlare del fatto che molte volte non ci vedremo in carne ed ossa ma in video call. Chiaro che l’azienda ha predisposto una vera e propria trasformazione tecnologica per permetterci di lavorare in questo modo. Tutto bellissimo, però…

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giovanna 46percento smart working

Premetto che sono vecchia, vecchia nel senso che appartengo a quella parte di mondo che ha ancora bisogno di stringere mani, guardare negli occhi e sentire l’odore delle persone. Forse perché il primo cellulare l’ho avuto all’università e il primo smartphone (anche se era il primo in commercio) che ero una donna fatta. Io lo capisco che i miei figli saranno diversi, ma io sono così.

Premetto anche che non sono una consulente del lavoro, una sindacalista, o cose del genere, sono una semplice impiegata mamma di due figli che vive a 30 km dal suo ufficio, che sogna di spostarsi in bici e cose del genere, invece passa un sacco di ore in auto. E che, ormai lo sapete, ogni tanto dice la sua.

Premetto infine che la mia azienda ha più di 100 dipendenti su tre sedi e 5 aree di specializzazione. I nostri clienti sono in tutta Italia (e oltre) i nostri partner in tutto il mondo. Insomma non una realtà semplice da gestire.

Insomma mentre Cecilia, responsabile della Risorse Umane, ci illustrava l’organizzazione di smart working prescelta (perché ovviamente se ne parla da un po’, ci hanno aiutato dei consulenti esterni, noi dipendenti abbiamo partecipato ad un sondaggio, etc. etc. etc.) il mio capo, nel suo maglioncino bianco, ci osservava con lo sguardo a metà tra l’orgoglioso e il preoccupato che hanno i padri mentre i figli scartano il regalo di Natale. Io non posso dirlo troppo in giro ma quest’uomo lo adoro, adoro la storia di questi “ragazzi” di provincia che vent’anni fa hanno avuto un’idea e adesso quell’idea siamo noi, ed è qualcosa di grande da nutrire, da trasformare e da difendere… una fatica insomma, ogni santo giorno! Adoro i miei capi (sono tre) perché sono nostrani e internazionali, professionali e nerd insieme, e perché ogni tanto sbagliano, ma sbagliano sempre come un padre sbaglia coi propri figli, a fin di bene. E io questa cosa la sento ogni volta che entro in ufficio, che li incrocio, che mi incazzo per qualcosa che hanno fatto, e questa cosa semplice e forse un po’ stupida, da un anno e mezzo, mi fa battere il cuore, anche se sono poco più dell’ultima ruota del carro, e se in fondo è solo lavoro. Insomma tanta poesia, ci devo scrivere qualcosa sopra, magari lo faccio quando cambio lavoro che non voglio passare per la lecchina che non sono…

Allora dicevamo… mentre Cecilia parlava di smart working e flessibilità i primi pensieri sono stati:

Figata!

Per la verità questo l’avevo pensato molto prima, quando ci hanno annunciato l’intenzione di farlo, ma credo di averlo ripetuto tra me e me un’altra volta. Sono una mamma che vive lontana dalla famiglia e negli ultimi quattro anni sono passata dal lavoro totale in smart working, al lavoro da freelance (sempre dal mio studio sotto casa) ad impiegare ogni giorno un’ora e mezza per andare in ufficio, spendendo un capitale. Ne vale la pena, ma certamente pesa. Capite… la prima reazione è stata di giubilo. Giubilo al pensiero di evitare ore di traffico, giubilo all’idea di preparare il pranzo ai bambini, giubilo all’ipotesi di allenarmi di nuovo in pausa pranzo.

Aiuto!

La seconda reazione è stata quella dell’Account Manager, che tra le sue mansioni ha quella di gestire team diversi  per ogni cliente, di organizzare meeting, coltivare relazioni, rispondere del lavoro di tutto il gruppo. Mi sono chiesta… Riusciremo a gestire i meeting con la metà delle ore a disposizione? Riuscirò ad avere un buon rapporto con i ragazzi vedendoli meno? Cosa penseranno i clienti quando ci collegheremo da casa? Ma soprattutto… Saremo all’altezza di tanta fiducia e responsabilità?

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smart working giovanna 46percento

Lo smart working è una rivoluzione del pensiero, non del lavoro.

Più ci penso e più mi sembra che la chiave stia in queste due parole: fiducia e responsabilità. Il pacco che stavamo scartando mentre Cecilia parlava sotto gli occhi attenti di Nereo, Stefano e Andrea (i tre “ragazzi” per capirci) conteneva questo.

Conteneva l’indipendenza e conteneva tempo e denaro, ciò che c’è di più prezioso. Un super regalo di certo, ma come tutti i super regali portava con sé una grande responsabilità. Avete presente quando avete ricevuto lo scooter o la prima macchina? O quel mega regalo che tanto desideravate? Ecco, più o meno così.

Per poter godersi il regalo bisogna averne cura e meritarselo, ogni giorno. Bisogna dimostrare con le scelte, e non per obbligo, di che pasta siamo. Dobbiamo fare in modo di conoscerci e lavorare a distanza. Centrare le scadenze al di là dell’orario di lavoro, rinunciare ai privilegi se necessario, imparare nuove procedure e poi un giorno, forse, rinunciare alla nostra scrivania “di proprietà” per altri nuovi privilegi. E a me questo stare a metà tra il comunismo della scrivania e il liberismo del marca tempo, lasciatemelo dire, mi piace un casino!

E allora io che sono vecchia, che amo le persone in carne ed ossa, ma lavoro nel digital marketing e ho due figli nati in questo millennio, che mandano solo vocali e imparano l’inglese seguendo le storie di Instagram dei loro divi, io credo di iniziare a capire come funziona questa rivoluzione che stiamo vivendo ormai da anni. Una rivoluzione che ci sta portando a togliere confini ovunque (anche se poi noi senza confini non sappiamo stare e facciamo casini), una rivoluzione che fa sembrare tutto un gioco, tutto facile, tutto un regalo. Ecco… mentre scartiamo questo regalo, dovremmo pensare a meritarcelo. Come qualunque privilegio dovremmo sentirlo al nostro servizio e metterlo al servizio degli altri. Perché non c’è nulla di più rischioso e difficile della libertà. Siamo nelle nostre mani. E adesso sta a noi goderci questa macchina che ci hanno regalato o fare i coglioni e schiantarci per aver bevuto troppo una sera. Mi piacciono le sfide, lo sapete, sento di averne appena ricevuta una in regalo.

Oggi lavoro in smart working, a pranzo spaghetti alle vongole per i ragazzi e al posto del viaggio in auto si va dall’estetista che le feste sono vicine. Figata!

 

 

 

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