Ci sono parole che ad un certo punto diventano importanti o almeno frequenti nelle nostre vite. Parole che ritornano nei discorsi, sui titoli dei giornali, tra le persone di cui seguiamo le conversazioni: privilegio è una di queste da qualche tempo, come lo è patriarcato (ma ne parliamo un’altra volta). Ovvio che molto dipende da ciò che seguiamo e cerchiamo e ascoltiamo… sempre più spesso siamo confinati in una bolla di persone che la pensano come noi. A prescindere da questo, la questione dei diritti credo sia una delle questioni fondanti della nostra epoca.
Quando le parole iniziano “ad andare di moda”, di solito le guardo con sospetto, ma poi ci rifletto. Perché questa parole ricorre? Cosa mi vuole dire? Cosa ci vuole dire? Ecco… questa è la riflessione che in questo ultimo periodo mi impegna di più:
- Cosa significa avere un privilegio?
- Chi sono i privilegiati?
- Ma il privilegio è un merito o una colpa?
Ci penso ogni volta che realizzo di essere nata nella parte giusta del mondo, ogni volta che il mio aspetto mi avvantaggia, ogni volta che mi schiero a favore di un diritto altrui. Perché sì, mi rendo conto di essere privilegia. E credo che difendere i diritti degli altri sia il modo migliore per rivendicare i propri. E non il contrario!
Credo di aver già raccontato di quando, appena diventata mamma di una bellissima bambina sana, non riuscivo a tollerare che ci fossero mamme a cui la vita aveva riservato un destino diverso. Mi sentivo in colpa, terribilmente in colpa. Non riuscivo a guardarle se le incrociavo per strada. Mi chiedevo “Perché a loro e non a me?” Sentivo tutto il peso del mio privilegio, quasi a soffocarmi.
Il senso di colpa è qualcosa che alcune persone si portano dentro da lontano, io sono una di queste. Ci ho lavorato parecchio, ho fatto terapia, ho analizzato i miei comportamenti, ho cambiato il mio modo di approcciare le cose, sono sicuramente in cammino su questo. Devo ancora fare molta strada, ma ad un certo punto ho capito che il senso di colpa non aveva senso. Al contrario il senso di responsabilità era prezioso e dovevo coltivarlo. Non è una colpa avere figli sani, ma è una responsabilità. Così come lo è essere bianca, italiana ed etero in un mondo che abbiamo diviso tra cittadini di serie A e di serie B, C, D… e in categorie che valgono rispetto a quanto si discostano da una fantomatica quanto arbitraria “normalità”.
Solo recentemente ho trovato questa frase di Djaimila Ribeiro che mi ha folgorato per come descrive ciò che avevo pian piano realizzato:
“Non è questione di colpa ma di responsabilità, la colpa porta all’inerzia, la responsabilità all’azione”
Quando erano piccoli Gabri ed io insegnavamo ai bambini a non chiedere solo scusa, ma ad aggiungere “cosa posso fare per rimediare?” Perché è l’azione che fa la differenza, le nostre azioni prima di ciò che diciamo. Ciò che facciamo, prima di ciò che scriviamo. C’era un sacerdote di quelli speciali che in una giornata di catechismo disse ai bambini che si preparavano alla prima confessione: “La confessione non vale nulla se non sistemi le cose con l’amico con cui hai litigato, o con la mamma, la maestra…”
Responsabilità, azione.
Non mi piace come gira questo mondo, non mi piace dove lo abbiamo portato. Non mi piace chi sfrutta, chi pensa di essere nel giusto, chi pretende di andare in giro ad esportare la sua democrazia, omettendo che è fondata sull’oppressione. La nostra società è complessa e semplificare è uno dei grandi mali di questo periodo, ma certamente riconoscere la responsabilità dei propri privilegi, nelle piccole e nelle grandi questioni, sarebbe una svolta. Riconoscere il prezzo che qualcuno ha dovuto pagare per noi.
Siamo abituati a lottare solo per i nostri diritti, in realtà sempre meno ormai, ma perché non iniziamo invece a lottare per i diritti negati agli altri dalla nostra posizione privilegiata?
Perché non iniziamo a pensare a come utilizzare il nostro privilegio, invece di limitarci a difenderlo? Credo fermamente che ogni cosa nell’universo sia legata a doppio filo. Invece siamo così bravi a separare, a creare divisioni. Muri che dividono gli Stati. Fili spinati che dividono i confini. A riconoscere ovunque la diversità. La diversità di specie, di classe, di etnia, di cultura. Come se l’evoluzione ci avesse frammentati sempre più. Fuori e dentro. Credo anche che ne stiamo già pagando le conseguenze.
Un giorno ascoltavo uno scienziato che ha detto una frase semplice e banale, ma che mi ha colpito per la sua lampante e sconcertante semplicità “Non è in pericolo la vita sulla terra, è in pericolo la vita dell’uomo”… ecco non riusciamo neanche a comprendere che siamo una parte, pure piuttosto infinitesimale, nello spazio e nel tempo. La parte che ha in mano le sorti del pianeta, le sorti di altri uomini, ma non riusciamo a farci carico della responsabilità di ciò che questo comporta. Ad esserne degni.
Non sono discorsi astratti, questo sto capendo, ci vogliono far credere che sia impossibile cambiare, che sia impossibile un altro mondo. Che il cambiamento debba dipendere da qualcun altro. Invece siamo noi che possiamo.
- Possiamo essere gentili, sembra poco eh! Invece le persone sono sempre più arrabbiate, maleducate, incattivite
- Possiamo comprare meno, gran parte dell’economia occidentale si basa sul consumismo esasperato, ma i consumatori siamo noi
- Possiamo utilizzare meno risorse, meno acqua, meno luce, gas
- Possiamo utilizzare meno l’auto, si lo so che a volte è impossibile, ma un sacco di altre volte si può
- Possiamo dedicare una parte della nostra vita agli altri
- Possiamo aver cura di noi stessi, mangiare meglio e fare attività fisica, questo ci rende più forti e indipendenti
Possiamo fare un sacco di altre cose, ma la cosa più importante è che possiamo!
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